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Frammenti

Sono nata ad Empoli, una piccola cittadina industriale della provincia di Firenze, a sfondo storico/artistico. Patria di Ferruccio Busoni e di Jacopo Carrucci.
Ho iniziato a giocare con una piccola tastiera in tenerissima età, avrò avuto tre anni, circa… riproducevo i motivi delle sigle dei cartoni animati, poi ho iniziato anche ad armonizzare le melodie e a comporre piccoli brani. Avevo quattro anni, parlavo correntemente – oltre all’italiano – l’inglese e il latino, per imitazione. Poi li ho dimenticati, per impararli di nuovo, da ragazza. Erano gli anni di stretto confine tra terra e cielo, tra il visibile e l’invisibile, la realtà e il sogno.

A sei anni il grande salto, arriva il primo pianoforte in casa, ricordo le emozioni contrastanti quando varcò la soglia di casa: “Adesso devo studiare sul serio!” pensai… perché nessuno mi aveva chiesto se volevo studiare davvero o no.
Fu un passo scontato, una decisione presa da mio padre, colto musicista dilettante, al posto mio. Padre che amavo, nonostante i miei pensieri e le mie emozioni fossero autonome già da allora.
Avevo la mia testa.

Quando mio padre morì, due anni più tardi, furono momenti tristi. Non ci fu molto tempo per piangere, avevo nove anni e continuai a suonare anche per onorare la sua memoria, non senza sofferenza, rivelando un talento raro e precocissimo. Un talento caleidoscopico.
Del quale mi vergognavo, perché nel frattempo crescevo e quel talento mi rendeva diversa dai miei coetanei… nel timore di apparire troppo diversa e – conseguentemente – per paura della solitudine, ho iniziato a coltivare l’abitudine ad occultare me stessa già in tenerissima età e ne ho fatto uno stile di vita; credo mi sia servito per rimanere in piedi nei momenti difficili e limitare e circoscrivere la sofferenza in confini controllabili. Sostanzialmente per essere accettata. Mi dicevano tutti che ero sempre “troppo”, in qualsiasi ambito, e io ci ho creduto, sempre.

Per una donna trovare uno spazio proprio in un universo artistico molto “maschile” non è facile, ci sono stati nella mia vita dei momenti e delle esperienze in cui l’ingerenza maschile si è proposta in modo forte, prepotente, a volte “solo” subdolamente, almeno in apparenza… se allora fosse esistita la legislazione di adesso, molto probabilmente qualcuno di quei maschi lì si sarebbe beccato una denuncia, qualcuno un po’ di galera, qualcun altro un bel ceffone, altri ancora un bel “vaffa”.

Qualcuno ancora oggi si meriterebbe un bel “vaffa”, che cautamente non pronuncio per timore…
I maschi fanno fatica ad accettare le donne che camminano veloci… È giusto che la donna sia autonoma, indipendente, moderna, realizzata (pensiero maschile evoluto e moderno)… ma possibilmente un pochino meno del maschio (dominante), altrimenti iniziano i guai, su tutti i fronti… allora si va anche un po’ più piano di quello che si potrebbe andare, tanto per non dare troppo nell’occhio. Ma i maschi sono educati da altre  donne, per lo più, cioè dalle loro madri… e allora? Che cosa mi sfugge? Mi sono persa qualcosa?… Si fa l’abitudine a stare male.

Il dolore è una sottile compagnia.
Può essere più dolce della solitudine, ma riveste la Luce della Vita con un velo sottile e impalpabile, di cui non sempre ci si accorge.
Non è mai colpa della donna ma c’è sempre qualcuno che ci toglie qualcosa. Non tocca mai a te, ti abitui a quella tenera e sottile indolenza. È un modo molto raffinato e storicamente molto documentato per coltivare una sottile oasi di dolore, della quale, spesso, rimaniamo prigioniere.

Siamo delle creature sofferenti giustificate da anni di storie di sofferenze. È successo anche a me, per molti, moltissimi anni. Ma si può anche dire “No, basta, grazie”… si può scegliere di fare l’abitudine anche a stare bene, anche se non si sa cosa voglia dire, anche se si tratta di uno schema al quale non siamo abituate.
Si può anche imparare ad amare. Si può anche scegliere la Luce. Basta seguire il proprio istinto primario. Io per prima ancora non so bene cosa significhi, procedo per tentativi, scremature, esperimenti. Mi concedo di commettere errori per la prima volta nella mia vita. Si tratta di iniziare da una piccola cosa.

E poi crescere.

Ho iniziato a insegnare molti anni fa, poi ho vinto un concorso a cattedre e da allora sono docente di pianoforte in Conservatorio, prima a Trapani, poi a Palermo, dove insegno tuttora. Sono rimasta in Sicilia, terra di sole, luce, passioni e contrasti molto forti. Ho vinto quel concorso nel periodo più brutto della mia vita, avevo venti anni ed avevo deciso di smettere di suonare per una esperienza professionale nella quale avevo investito molte energie e che non si rivelò buona per me… e perché una speranza d’amore si era dissolta come il vento, in un momento. Ho visto le mie prospettive di Vita fallire. Non ho creduto in me.

In quel periodo fu bandito quel concorso, lo sostenni, con fatica, perché avevo fame; il talento caleidoscopico mi sostenne… Lo vinsi facilmente, da sola, senza raccomandazioni alcune e adesso sono qui.
Ho imparato a non cedere alle lusinghe delle carriere facili, può essere gratificante sul momento ma alla lunga non paga, mi sento di consigliarlo… Forza, Autonomia, Indipendenza, Tenacia, Studio: sono i giusti ingredienti della ricetta per vivere.
Conoscenza e Amore sono i due valori più importanti, quelli che restano, quelli che porteremo sempre con noi…

Ho superato “i cinquanta” ed ho un lavoro che amo, una famiglia splendida, un talento che mi appartiene e che mi guida come un faro.

Per mia scelta ho ripreso a suonare il pianoforte, accettando il mio talento e coltivandolo come un giardino colorato, dove devono crescere tutti i fiori che voglio. Ringrazio ogni giorno per averlo ricevuto e mi impegno per farlo crescere. Mi servirà e servirà gli altri, in un modo o nell’altro, con umiltà. Consapevole però che è solo un mezzo per vedere di più e andare più in là, uno strumento espressivo.